mercoledì 8 maggio 2013

Deborah Kaplan

A quattordici anni Deborah Kaplan sviluppò la sindrome conosciuta come anoressia mentale. Come spesso accade, sembra che la malattia sia iniziata quando Deborah decise di seguire una dieta per poter intraprendere la carriera di modella. All'inizio seguì una normale dieta dimagrante; ma nel giro di otto mesi andò eliminando sempre più cibi, finché si ridusse a mangiare solo mele, formaggio magro e acqua. Il suo peso scese dai 50 ai 35 chili e si sviluppò un'amenorrea. Allo stesso tempo Deborah aumentava i suoi livelli di attività. A volte si svegliava alle quattro o alle cinque del mattino e usciva a camminare per chilometri fino al momento di andare a scuola. Se era costretta a stare a casa si metteva a correre senza sosta su e giù per le scale. Continuò ad andare bene a scuola come sempre ma si allontanò quasi completamente dalla vita sociale della scuola e della sinagoga. I genitori la descrivevano come una brava ragazza; erano orgogliosi dei suoi voti e del suo comportamento, ma non riuscivano a spiegare il suo rifiuto di mangiare.
Alla fine, su raccomandazione del pediatra, Deborah venne ricoverata in un reparto pediatrico in cui si conduceva una ricerca sulle influenze della famiglia sulle sindromi psicosomatiche nei bambini. Esami medici rigorosi esclusero la possibilità che il suo rifiuto del cibo fosse dovuto a una causa organica e Deborah e la sua famiglia furono inviati allo psichiatra dell'équipe. Il problema presentato era un'anoressia mentale.
L'anoressia mentale è una sindrome psicosomatica caratterizzata da sintomi di natura sia psicologica che fisica. Può essere fatale, con tassi di mortalità del 10-15%. Il disturbo di solito compare nelle femmine del ceto medio, mentre la percentuale dei maschi anoressici è estremamente bassa. Solitamente inizia nell'adolescenza, sebbene in alcuni casi possa iniziare nella preadolescenza o in età adulta.
I sintomi fisici consistono in una perdita di peso di oltre il 25% e una o più delle seguenti condizioni: amenorrea, iperattività e ipotermia. La sintomatologia psicologica comprende il desiderio di dimagrire, la paura di acquistare peso, la negazione della fame, una distorta immagine corporea, un senso di inefficienza e uno sforzo di controllo.

(Tratto da "Famiglia psicosomatiche" di S. Minuchin)

martedì 7 maggio 2013

Paure

Le donne con alterazioni nel controllo dell'appetito non sono così autonome e indipendenti come vogliono apparire. Sono persone che non amano il loro vero Io e che non riescono a formulare richieste o rifiuti per paura di non essere più amati. Servendosi della distanza evitano che gli altri si avvicinino. Hanno paura del contatto in tutti i sensi. Toccare qualcuno significa anche commuoverlo. La commozione implica emozione, debolezza. perdita di controllo, lacrime, umiltà. Non si può essere freddi, orgogliosi e superiori, quando si è commossi, quando si è emotivamente coinvolti.
Così con il bisogno incoercibile di mangiare o la negazione del cibo vengono messe a tacere le emozioni e questo è certamente più sicuro che lasciarsi andare o essere trascinata emotivamente.
Chi ha paura di essere toccato a livello fisico e psichico ha anche paura di 'far entrare' qualcosa. E chi ha paura di far entrare, ha anche paura della sessualità. Infatti, le donne che presentano disturbi alimentari hanno anche problemi con la sessualità, specialmente nell'abbandonarsi al partner. Abbandono e controllo non si conciliano. Per abbandono non si intende soltanto l'abbandono sessuale, ma anche l'abbandonarsi a una situazione, ossia ogni forma di coinvolgimento. Se lascio che qualcuno si avvicini a me, questo qualcuno vedrà dietro la facciata, mi conoscerà come realmente sono. Percepirà di me cose che neppure io vedo e che spesso non voglio neppure vedere.
Le donne che soffrono di disturbi alimentari temono di essere scoperte. Hanno bisogno di distanza proprio per non essere viste come in realtà sono: esseri fragili. bisognosi, con il terrore di essere respinti e di non ricevere ciò che desiderano. Convinte come sono che la possibilità di ricevere un poco di amore, di affetto dipenda dalla capacità di essere 'abbastanza brave', tentano di diventare come credono di dover essere per meritarsi l'amore: utili, forti, affidabili, intelligenti e altre cose ancora. Se qualcuno supera la barriera protettiva e vede come sono in realtà, le assale il terrore di essere rifiutate, abbandonate.
La situazione, purtroppo, è ancora più complessa: le persone affette da questi disturbi, infatti, hanno anche paura che i propri bisogni possano essere soddisfati da qualcuno e che possa quindi crearsi un legame di dipendenza. Un 'eventale perdita di questo qualcuno sarebbe per loro ben più duro da sopportare che lo stato di privazione preesistente. In questo caso il principio 'occhio non vede, cuore non duole' non funzionerebbe più perché un bisogno una volta risvegliato e soddisfatto non può più essere nascosto a sé stesso e agli altri. Se qualcuno è in grado di dare a un altro qualcosa di fondamentale, di vitale, qualcosa di cui non si è mai avuto abbastanza egli si trova in una posizione di grande potere.
Come può una donna che ha una scarsa considerazione di sé credere a una appagamento durevole dei suoi bisogni? Essa conosce la propria avidità, la propria ingordigia e il conseguente, temuto rifiuto. Non crederà di poter ricevere abbastanza e questo le fa paura. Per placare questa paura può tentare di dimostrare la propria capacità oppure fuggire. I sintomi rappresentano anche vie di fuga, vie di fuga dalla vita.

(Tratto da "Donne che mangiano troppo" di Renate Gockel)

lunedì 6 maggio 2013

Radici comuni.

Tra anoressia, bulimia e obesità esistono più affinità che differenze e il lavoro terapeutico svolto con pazienti appartenenti a queste tre categorie ha sempre rivelato in modo inequivocabile che tutti i disturbi alimentari a carattere maniacale hanno radici comuni.
Tali radici, per restare nell'ambito dell'analogia con il mondo vegetale, sono sotterranee, ossia inconsce. In superficie, e quindi visibili, sono il fusto e i rami, che corrispondono al diverso manifestarsi dei disturbi alimentari, comprese le forme intermedie. Naturalmente, non è casuale che una donna diventi anoressica piuttosto che bulimica: la malattia è il risultato della storia individuale, e questa è tanto diversa quanto diverse sono le condizioni di crescita dei rami di una pianta.
Le radici comuni a tutti i disturti alimentari affondano nelle primissime fasi dell'alimentazione, nell'appagamento del bisogno del lattante. Che cosa può fare un neonato, se non ottiene una risposta adeguata alle proprie esigenze di nutrimento, protezione, calore e sicurezza? Può cercare di attirare la madre; ma, se anche questo fallisce, non gli resta che rassegnarsi cercando di limitare i propri bisogni. Ciò che scaturisce da tale rassegnazione, e che perdura anche in età adulta, è la sensazione di non aver ricevuto abbastanza, di averci rimesso.
Le persone che soffrono di disturbi alimentari non hanno ricevuto soltanto troppo poco: spesso il cibo, la protezione, l'accettazione non sono stati dati quando venivano richiesti, ma quando l'adulto riteneva fosse giusto concederli.
Che cosa può imparare un neonato in queste circostanze? Impara ad afferrare e a trattenere inesorabilmente ciò che riceve. Poiché non possiede ancora il concetto di tempo, agisce in base al principio 'ora o mai più'. Questo modello di comportamento è facilmente riscontrabile negli individui che soffrono di disturbi dell'alimentazione anche in età adulta: limitata capacità di sopportare le frustrazioni, avidità, ingordigia, tendenza ad aggrapparsi agli altri nei rapporti di amicizia e d'amore. Costoro non credono di poter mai ricevere abbastanza e soprattutto nel momento in cui lo desiderano. Con la loro avidità, con questo loro afferrare-aggrapparsi costringono amici e partner a difendersi per non essere divorati. Questa avidità riguarda tuttavia solo gli amici più intimi o i membri della famiglia; esteriormente questi individui appaiono per lo più forti, superiori, competenti.

(Tratto da "Donne che mangiano troppo" di Renate Gockel)

domenica 5 maggio 2013

La distanza.


Questi tre disturbi dell'alimentaxzione producono lo stesso risultato: creano distanza.

L'anoressica si erge psicologicamente su tutti gli altri, i deboli; la bulimica offre agli altri un'immagine di sé diversa dalla realtà, una sorta di finta facciata; l'obesa costruisce attorno a sé un'impenetrabile barriera protettiva. Perché e a quale scopo la donna affetta da disturbi alimentari crea questa distanza?

La donna anoressica è orgogliosa di tenere così bene in pugno il proprio organismo e i propri bisogni. A livello psichico, tuttavia, le manca questa autonomia; non è indipendente né in grado di decidere per sé e teme di perdere questo controllo faticosamente conquistato.

La donna bulimica accetta solo la propria immagine perfetta e rifiuta il vero Io, che quasi nemmeno conosce e di cui teme il manifestarsi. Nei suoi attacchi incoercibili di fame si impone questa parte diversa, che è lontana dalle sue pretese di perfezione e che bisogna rendere innocua. La donna bulimica concede troppo poco spazio alla propria vera personalità, che quindi deve trovare uno sbocco a livello fisico. Ciò che le manca a livello cosciente è l'accettazione di sé, la capacità di fare posto al proprio vero Io.

La donna grassa, obesa, si isola fisicamente grazie alla sua barriera protettiva, dato che non riesce a farlo a livello psichico. Servendosi della ripugnanza che ispira, tiene letteralmente gli altri a distanza. Donne grasse, dopo aver perso venti chili, tornavano rapidamente a ingrassare proprio perché incapaci di sopportare l'interesse suscitato dal oro nuovo aspetto. All'improviso uomini e donne si comportavano con loro in modo totalmente diverso e questo le terrorizzava, perché erano prive della barriera protettiva.

(Tratto da "Donne che mangiano troppo" di Renate Gockel)

sabato 4 maggio 2013

I disturbi alimentari.

A seconda del comportamento alimentare e della corporatura dell'individuo i disturbi alimentari vengono suddivisi in tre grandi categorie: anoressia, bulimia e obesità. Questi quadri clinici presentano molte caratteristiche tipiche di una mania: l'avida ricerca di un dato elemento, la segretezza, uno stato di ebbrezza o meglio di offuscamento della ragione, seguito da un brusco risveglio accompagnato da sensi di colpa e di vergogna e dal proposito di iniziare l'indomani una nuova vita, proposito che regolarmente non viene mantenuto.

L'anoressia è caratterizzata dalla riduzione volontaria dell'assunzione di cibo che, in certo casi, può portare a uno stato di dimagrimento letale. I soggetti anoressici, con la loro apparente gracilità, il loro corpo sfinito e consunto, suscitano un senso di pietà, a volte anche di ribrezzo, sempre comunque di stupore. L'anoressica sembra dire: "Tengo sotto controllo il mio corpo e i suoi bisogni e vi odio tutti, voi che siete così deboli da cedere ai bisogni del vostro corpo. Io sono più forte di voi, mi sento superiore". Un soggetto anoressico ha sempre un che di inavvicinabile.

Si parla invece, di bulimia quando esiste uno smodato bisogno di mangiare, patologio e condizionato psichicamente. Di norma, alla fine dell'attaccco di fame il bulimico vomita quasi tutto quanto ha ingerito ed è quindi in grado di conservare pressoché inalterato il proprio peso. Una donna bulimica appare perfetta, severa, fredda, distaccata. Anch'essa suscita ammirazione, e anche a lei non è facile avvicinarsi. E' un tipo razionale, giudizioso, cerebrale, una persona dalla quale non si vorrebbe essere giudicati. Nessuno sospetterebbe che lei, la perfetta, si rimpinza fino a non poterne più e poi vomita. E' il suo segreto, e per nulla al mondo lo rivelerebbe. Tale segreto la rende infinitamente sola, in quanto è qualcosa che non può condividere. Esteriormente appare forte, ma come sia dentro nessuno lo sa.

Di norma la fame smodata condizionata a livello psicologico conduce all'obesità, quando l'eccessiva quantità di cibo ingerita non viene espulsa dall'organismo o viene espulsa troppo raramente. In una cultura che ha fatto della magrezza il suo ideale di bellezza la donna obesa suscita ribrezzo e repulsione. Considerata un'entità neutra, è costantemente oppressa dall'idea di dover dimagrire. E' avvolta da una spessa barriera, uno strato isolante che lei stessa ha costruito tra sé e gli altri.

(Tratto da "Donne che mangiano troppo" di Renate Gockel)

venerdì 3 maggio 2013

Aspetto funzionale dell'anoressia all'interno della famiglia.
A volte l'anoressia può assumere una forma di utilità nell'economia familiare: ossia può apportare qualche beneficio indiretto all'interno della famiglia.
A volte, ad esempio, l'anoressia può impedire una separazione tra due coniugi che risulterebbe troppo dolorosa per la figlia. Oppure può distogliere l'attenzione da gravi problemi e stress che hanno colpito il nucleo familiare (si pensi a un lutto). O ancora può riequilibrare i rapporti familiari, come nel caso di una madre che pone tutte le sue attenzioni sulla figlia minore, trascurando la maggiore fino a quando quest'ultima, tramite la malattia, "costringe" la madre a concentrarsi su di lei.
In alcuni casi la malattia della figlia è dunque il male minore all'interno di alcune dinamiche familiari e appena la ragazza si avvia alla guarigione si può verificare un sensibile peggioramento delle problematiche individuali e di relazione all'interno della famiglia.
(Tratto da "Anoressia, amica mia namica mia" di Igino Marchi)

giovedì 2 maggio 2013

L'AMBIENTE FAMILIARE

Proviamo a descrivere i profili di alcune tipologie di "famiglie anoressiche"

Assenza o carenza di espressione autentica delle emozioni.
Cioè la difficoltà di esprimere apertamente e direttamente le emozioni al diretto interessato. quel che avviene è una comunicazione di tipo più indiretto per cui, lamentandosi con la figlia, il padre si riferisce alla moglie. E ancora, la figlia, per esprimere il suo rancore verso la sorella, si sfoga con la madre.
In queste famiglie dire apertamente e direttamente quello che si pensa è difficile e complesso.
Pensiamo a una figlia che finalmente riesce a esprimere la sua rabbia verso la madre, la quale in risposta a ciò la rimprovera pesantemente per la sua mancanza di rispetto e conseguentemente non le rivolge più la parola per qualche giorno. Inevitabilmente questa ragazza imparerà che non è il caso di dire chiaramente quello che si pensa,e  che anzi è una cosa sbagliata e indegna per una figlia. Inevitabilmente adotterà un sistema di comunicazione indiretto.

La sindrome della famiglia perfetta.
In molte famiglie esiste la regola che l'apparenza, l'idea che gli altri si possono fare del nucleo familiare, è un elemento essenziale per il benessere della famiglia stessa. Ecco allora che viene posta una grande attenzione a non scoprire i panni sporchi e i problemi che inevitabilmente ci sono in ogni famiglia. Così, quando c'è un parente in casa, per non fare brutta figura, non bisogna mai urlare o trattare certi argomenti tabù.
Questo toglie spontaneità alla comunicazione extrafamiliare, rendendola spesso costruita, fatta di modi e contenuti talora "falsi".
Ebbene, un simile tentativo di apparire felici, sorridenti, uniti ha un prezzo: quello di reprimere le proprie emozioni e di consumare tutti i disagi e i problemi entro la famiglia, che diviene col tempo un'autentica polveriera con bomba a orologeria.

Eccessiva importanza ai risultati e alle prestazioni.
In ogni famiglia esiste una gerarchia di valori spesso impliciti che classifica l'importaza di ciò che si fa. Se il voto che si prende a scuola, il risultato nella gara sportiva, il vestito che si indossa hanno n estremo valore e vengono considerati i passaporti per la vita, nelle ragazze nascerà pian piano la convinzione che i sentimenti, gli scambi d'affetto, la comprensione reciproca abbiano un'importanza  relativa.
La laurea con 110, il lavoro prestigioso, la frequentazione di determinati ceti sociali assumono così un'importanza vitale.
Si pensi poi a che cosa succede se più o meno esplicitamente la madre comunica che è importante avere una bella linea per essere accettati e apprezzati nel mondo: se la figlia è emotivamente fragile e prende alla lettera tali precetti, può intraprendere la dieta e attuarla nel modo più drastico e inflessibile che le riesce.

La famiglia chiusa.
Che una famiglia sia unita e condivida i problemi e le gioie è apprezzabile da tutti, tuttavia quando il noi come gruppo familiare sovrasta l'io come individualità non ne possono che scaturire danni.
E' importante sottolineare che ogni persona è una individualità che in quanto tale ha diritto di scegliere liberamente chi frequentare e quale strada intraprendere all'esterno della famiglia; se ciò viene impedito, e la scelta della facoltà universitaria o i lo ragazzo da frequentare diventano una scelta famigliare più che personale, l'autonomia di decisioni e la capacità di responsabilizzarsi viene meno. E' questo il motivo per cui in queste famiglia difficilmente un componente può pensarla diversamente da un altro, perlomeno in forma esplicita e chiara, e le scelte fatte sono sempre frutto di decisioni corali su questioni troppo personali.

La famiglia iperprotettiva.
Ogni membro della famiglia aiuta e sostiene l'altro in maniera continua anche quando non ce ne sarebbe necessità. Ad esempio se una figlia deve compiere un viaggio, la madre si prodiga per procurarle il biglietto e informarsi sulle diverse tappe e insidie che può incontrare. O ancora, se la madre ha poche linee di febbre, la figlia può evitare di uscire quella sera o addirittura chiamare il medico di famiglia a casa.
Tale interdipendenza reciproca rafforza sì i legami tra i componenti della famiglia, ma impedisce un'adeguata costruzione dell'autonomia e dell'iniziativa personale.

La famiglia caotica.
E' una famiglia non strutturata e instabile. Le regole sono contraddittorie e l'espressione della rabbia avviene in modo esagerato e distruttivo. E' il caso che può favorire problemi di bulimia nervosa più che di anoressia.

(Tratto da "Anoressia, amica mia nemica mia, di Igino Marchi)

martedì 30 aprile 2013

PROBLEMI PSICOLOGICI LEGATI ALL'ANORESSIA

Non tutte le ragazze anoressiche presentano solo questa patologia: in alcuni casi la malattia è affiancata da altre problematiche psicologiche. E' importante individuarle perché quando il problema anoressia si intreccia con altri disturbi psichiatrici diventa una patologia molto resistente che spesso dura per anni e richiede una strategia di intervento più complessa e prolungata.

Problemi psicologici spesso presenti nelle anoressiche:
- la fobia sociale.
Chi presenta tale disturbo avrà una grande difficoltà a interagire con gli altri. Avrà molto timore del giudizio e delle critiche delle amiche e delle figure di autorità. Presenterà serie difficoltà a parlare di fronte agli altri, a gestire le inevitabili critiche.
- ossessioni.
Sono idee, pensieri, impulsi, immagini ricorrenti che vengono esperiti come intrusivi e fastidiosi. Per esempio pensieri di commettere qualche atto deplorevole.
In genere si tenta di neutralizzare tali pensieri con rituali, per esempio, pregare in modo ripetitivo.
Si ha consapevolezza che tali pensieri sono assurdi prodotti mentali, ma non si riesce a bloccarli.
- compulsioni.
Sono comportamenti ripetitivi, rispondenti a determinate regole ed eseguiti in modo stereotipato. Per esempio lavarsi le mani per dieci volte consecutive.
Tali comportamenti hanno lo scopo di neutralizzare qualche disagio o livelli elevati di ansia.

Oltre ai disturbi d'ansia esiste un'altra categoria di disturbi di maggiore gravità che gli esperti sono soliti chiamare disturbi di personalità. Questi comprendono una serie di aspetti caratteristici di una persona che condizionano pesantemente il comportamento e il pensiero di chi ne è affetto. Riportiamo di seguito alcuni esempi relativi a "tratti" di personalità disfunzionali.

Perfezionismo e ipercontrollo estremo.
Chi presenta questo tratto di personalità cerca soluzioni perfette senza errori e sbavature di alcun genere. Il desiderio di certezza produce uno stato di vigilanza e attenzione continua, senza alcuna possibilità di distrarsi e abbassare la guardia.
Pensieri automatici tipici: "devo trovare soluzioni perfette" - "devo evitare di commettere errori".
Assunzioni e presupposti sottostanti: "errore = fallimento"; "è intollerabile perdere il controllo della situazione"; "devo evitare di commettere errori, altrimenti non valgo niente".
Ricerca di algoritmi sicuri: si interpreta la realtà in base a schemi rigidi e fissi che diano una dimostrazione perfetta della veridicità del proprio pensiero obiettivo. Non si usano invece valutazioni intuitive, probabilistiche, che calcolino il grado di rischio e di fattibilità. Per esempio: "se faccio un'abbuffata vuol dire che sono ancora bulimica"; se quella persona tiene veramente a me oggi mi deve telefonare"; se ora sono triste significa che sono ancora malata".
Diretta conseguenza di tali pensieri sarà una ricerca continua di attuare comportamenti e azioni ineccepibili; e continui test sulle proprie capacità e controlli su tutto ciò che fa.

Evitamento sociale e interpersonale.
- si evita qualunque attività lavorativa e non, a contatto con gli altri;
- non si desidera interagire con altri se non si ha la certezza di essere accettati;
- si ha paura di dire qualcosa di umiliante e di sciocco;
- si teme di non saper rispondere alle domande;

Ciò è dovuto a un'autosvalutazione di sé e degli eventi che comporta:
- un'autocritica feroce: "Sono stupida, perdente, incapace, patetica";
- un impegno ostinato nel nascondere la propria personalità, ritenuta inaccettabile dagli altri;
- l'enorme timore del rifiuto, che è considerato insopportabile e troppo doloroso;
- l'attribuzione del rifiuto altrui alla propria inadeguatezza e in genere alle proprie incapacità.

Emozioni tipiche: vergogna, imbarazzo, ansia sino alla paralisi;
pensieri tipici: "e ora cosa penseranno di me?"; "Penseranno che faccio schifo"-

Schema cognitivo principale. Tutto viene visto e vissuto in termini di accettazione/rifiuto, per cui la mancanza di un saluto, di una telefonata, un'arrabiatura vengono subito etichettati come rifiuto totale.

Evitamenti messi in atto.
Emotivo: si evitano emozioni tristi e sgradevoli perché troppo dolorose, si allontanano i brutti ricordi. Si sente la testa vuota.
Cognitivo: si evitano gli argomenti spiacevoli e dolorosi, si cambia discorso appena questo causa sofferenza.
Comportamentale: si evitano situazioni sociali ritenute pericolose.

Dipendenza e mancanza di autonomia.
- essere incapaci di prendere decisioni autonome senza suggerimenti e aiuto;
- permettere che gli altri prendano decisioni per noi;
- essere sempre o spesso d'accordo con gli altri;
- temere di essere abbandonati;
- sentirsi a disagio quando si è soli;
- sentirsi sconvolti quando terminano relazioni strette.

Schema cognitivo di base: valutarsi inadeguata, incapace, debole, indifesa, bisognosa; pensare di poter sopravvivere solo con l'aiuto di una persona significativa. Di conseguenza desidera avere sempre l'aiuto di una persona a lei significativa.

(Tratto da "Anoressia, amica mia nemica mia" di Igino Marchi)



lunedì 29 aprile 2013

Corpo percepito

Le persone non anoressiche spesso si pongono questa domanda:
"ma le ragazze anoressiche non si vedono magre e scheletriche?"
Per rispondere è opportuno spiegare che il corpo può essere percepito e valutato dal punto di vista:
- cognitivo (come ci si vede);
- ottativo (come si desidererebbe essere);
- affettivo (come ci si sente).

La valutazione cognitiva del corpo è la valutazione oggettiva di come si percepiscono le proprie dimensioni corporee. Per stabilire ciò un ricercatore ha ideato uno strumento, chiamato videodistorsore, che permette di allargare o restringere la propria immagine proiettata su uno schermo a grandezza naturale. Ebbene, si è osservato che le ragazze anoressiche percepiscono in modo corretto le reali dimensioni del proprio corpo.
Un discorso a parte meritano le persone gravemente emaciate, le cui capacità cognitive sono alquanto ridotte: esse hanno una percezione corporea effettivamente distorta. Si vedono con un peso normale o addirittura grasse quando in realtà sono pelle e ossa.

Altra cosa invece è la valutazione cosiddetta ottativa e affettiva, cioè rispettivamente come si vorrebbe essere fisicamente e come ci si sente. Nel primo caso le valutazioni delle ragazze possono variare di molto: c'è chi non si piace per l'estrema magrezza, ma ha un'estrema paura di aumentare di peso, chi si piace così com'è, e altre che vorrebbero dimagrire ulteriormente (pazienti con la prognosi peggiore).
Va quindi sottolineato che di norma, pur vedendosi obiettivamente troppo magre, le ragazze temono di aumentare di peso e di perdere il controllo sul proprio corpo. La condizione di sottopeso è dunque mantenuta più dalla paura di divenire grasse che dal desiderio di dimagrire.
Infatti perdere il controllo del peso e ingrassare rappresenta per queste ragazze"la catastrofe", la sconfitta completa di tutto il loro lavoro, magari di anni e anni di sacrifici: il fallimento dell'unico vero obiettivo al quale si sono aggrappate e con il quale hanno dato senso alla loro vita.
Ovviamente tali considerazioni non possono essre generalizzate e i motivi della ricerca della magrezza estrema forse sono tanti quante sono le ragazze anoressiche.
A volte la paura di ingrassare è completamente assente, e c'è il desiderio di aumentare di peso ed essere normali. Ciò che le blocca è la paura di rivivere le emozioni negative provate nell'adolescenza.
Altra paura è quella di guarire e di vedere magari perduti gli indubbi vantaggi della condizione di malato.
Evidentemente la questione è assai complessa e il desiderio di magrezza implica ben altri significati che il mero aspetto estetico.


(tratto da "Anoressia, amica mia nemica mia, di Igino Marchi)

domenica 28 aprile 2013

Proviamo ora a immaginare i primi passi di un percorso ideale verso la guarigione che una ragazza anoressica può percorrere.

1. Prendere coscienza di avere un problema.
2. Prendere in considerazione di curarsi e fare qualcosa (si consulta il primo medico o il primo psicologo).
3. Decidere di frequentare più regolarmente specialisti del settore.
4. Iniziare a pensare che forse c'è una via d'uscita.
5. Affrontare con maggiore impegno gli incontri con lo psicologo e il nutrizionista.
6. Accettare l'idea "terribile" di aumentare di peso e riuscire ad aumentare qualche chilo.
7. Ridurre i sintomi della malattia (restrizione alimentare, iperattività, controlli ossessivi allo specchio, conteggio delle calorie, ecc.).
8. Decidere, se è il caso. di accettare un ricovero in una clinica.
9. Sopportare l'eventuale lontananza dai genitori e da altre figure di riferimento (sorelle, zie, ecc. ).
10. Avvicinarsi gradualmente a un peso naturale più adeguato.
11. Riuscire a frequentare altre persone che non siano le figure di riferimento, attuando una graduale autonomia emotiva.
12. Concentrarsi sempre più sugli aspetti psicologici del problema, mettendo a fuoco  i problemi di natura emotiva e relazionale (qui l'intervento dello psicologo acquista via via più importanza).
13. Accettare e sopportare emozioni estremamente negative, che ora con l'acquisto del peso si fanno sentire più intense.
14. Accettare, sopportare e riprendersi da ricadute e cali di peso repentini dovuti a fattori psicosociali stressanti.
15. Mantenere un contatto psicoterapico prolungato nel tempo (uno o due anni) riuscendo a riacquistare peso dopo le inevitabili ricadute.

Come si può comprendere, a volte la via verso la guarigione è lenta e difficile, e necessita purtroppo di tempi lunghi: più per mettersi nelle condizioni di lavorare seriamente e adeguatamente che per svolgere la fase propriamente attiva di lavoro psicoterapico.
A volte ci vogliono anni prima che una ragazza decida di rivolgersi a uno specialista, e può ancora passare molto tempo prima che accetti di aumentare qualche chilo e poi mantenerlo. Accade spesso infatti che le terapia vengano abbandonate, e che dopo aver acquistato peso durante un ricovero le pazienti, tornate a casa, dimagriscano nuovamente. Non è facile abbandonare questa malattia.

(Tratto da "Anoressia, amica mia nemica mia" di Igino Marchi)